Il card. Braz de Aviz: cultura del provvisiorio sollecita formazione cristiana continua
Il card. Braz de
Aviz: cultura del provvisiorio sollecita formazione cristiana continua


“Fedeltà e perseveranza
vocazionale in una cultura del provvisorio”, questo il titolo della Giornata di
studio che si tiene oggi presso la Pontificia Università Antonianum a Roma. Ad
aprire i lavori, questa mattina, l’intervento del cardinale Joao Braz
de Aviz, che ha sottolineato quanto sia importante il ruolo della
formazione, che dura dalla nascita alla morte, per superare le crisi
vocazionali. Elvira Ragosta lo ha intervistato:
R. - Io penso alla Chiesa e anche alle istituzioni dentro la Chiesa,
in questo periodo così importante che è quello della formazione basica delle
varie vocazioni: non solo nel senso delle vocazioni - diciamo - di vita
consacrata, ma le vocazioni intese in modo molto più ampio. C’è nella base una
chiamata di Dio, c’è un’attrazione che Dio esercita col suo amore su una persona
e c’è dopo la risposta di questa persona sia individuale, sia anche attraverso i
mezzi che Dio fornisce, che la Chiesa fornisce e che le istituzioni nella storia
della Chiesa forniscono. E lì, in questo adeguamento di queste cose, bisogna
stare attenti perché il provvisorio è un po’ la caratteristica del nostro tempo,
dove niente è definitivo e tutto è per un tempo: “Finché questo mi piace, finché
questo mi dà felicità…”. E questo in sé non è negativo: io cerco nel momento
presente una realizzazione totale. Però, noi sentiamo che c’è qualcosa che si
rompe in questa posizione, in quanto non si trova più questa fedeltà che è
capace di dare di ritorno a una fedeltà di Dio, perché la fedeltà è soprattutto
quella di Dio, dare una risposta di fedeltà anche dell’uomo. Questo è qualcosa
che noi dobbiamo approfondire: dobbiamo vedere come ritornare, stando attenti ad
una fedeltà che possa continuare nel tempo in modo positivo, ma anche con la
felicità del cuore. In questo senso, quindi, l’esperienza di Dio, l’esperienza
di Dio amore, ma anche l’esperienza del cambiamento dei rapporti tra di noi.
D. - Lei faceva riferimento a due fondamenti: al fascino di Dio che
chiama Francesco e Chiara di Assisi…
R. - Sono giovani che hanno messo la
centro del loro cuore questa risposta alla propria vocazione. Su di loro
sicuramente Dio ha esercitato un’attrazione fortissima, come fa su coloro che
sono chiamati. Lì pensiamo sempre, di nuovo, che al centro della nostra
formazione, in tutti i momenti della nostra vita - ma in modo speciale nella
formazione di base, che deve poi continuare - c’è la Parola di Dio. La Parola di
Dio è amica dell’uomo, la Parola di Dio è vicina, non è lontana, la Parola di
Dio non ci impone pesi ma ci dà condizioni di felicità. Però, se non è vissuta
totalmente, se non è vissuta con impegno costante, può darsi che parte della
nostra vita aspiri a un’altra condizione che non è quella della Parola di Dio. E
questo crea difficoltà. Anche il magistero della Chiesa: il magistero della
Chiesa esprime un dialogo costante con la storia, con le persone, che porta
anche una luce sulle cose, la luce di Dio sulle cose. C’è questo magistero che
va sempre crescendo e che è per noi fonte di sapienza. Queste sono due colonne
che noi non possiamo perdere. Oggi, vediamo anche che bisogna come ricostituire
certe cose fondamentali nel cammino. Non possiamo più perdere tutta la nostra
vita - diciamo - amministrando opere delle quali non diamo più conto, non siamo
più capaci… Abbiamo bisogno di stare proprio all’essenziale, che è questo
rapporto con Dio, questo dialogo costante con Dio, questo essere nel Signore
risposta, a quello che Lui ci chiama, con gli altri però vivendo questo in
maniera adeguata anche alla felicità che Dio dà: ricomponendo cioè anche i
nostri rapporti.
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