CIAO CARI AMICI,
MI è DOVEROSO COME SALUTARVI E RINGRAZIARVI DI CUORE PERCHE' VEDO CHE I VOSTRI COMMENTI SONO INTERESSANTI E PURE STUZZICANTI.
INIZIO A DIRVI CHE A SAN NICANDRO GARGANICO IL COMUNE SAPETE COSA HA FATTO? HA COSTRUITO UN RESIDENCE PER GLI IMMIGRATI,HA COSTRUITO DEGLI APPARTAMENTI CHE FANNO INVIDIA. VI RENDETE CONTO? COSI CARI AMICI HO DECISO DI VEDERE COSA FA QUESTA GENTE ALLA QUALE GLI è STATA DESIGNATA UNA CASA: SONO A SPASSO NEL PAESE, BEVONO NEI BAR E DISCUTONO DI TUTTE LE PORCHERIE CHE SOLO LORO SANNO. CIOè QUESTA GENTE VA A SPASSO PERCHE' IN ITALIA NON SANNO CHE CAVOLO FARE. MI CHIEDO E CHIEDEREMO AL COMUNE DI SAN NICANDRO CON QUALI SOLDI HANNO COSTRUITO IL RESIDENCE ISLAMICO? STA GENTAIA CHI LA MANTERRà VISTO CHE NON HANNO I SOLDI PER PAGARE NEANCHE UN CAFFE'? MA QUESTE COSE GLI AMMINISTRATORI SE LI STANNO CHIEDENDO? MA SEMPRE IL POVERO CITTADINO ITALIANO DEVE MANTENERE STA GENTE! MANDIAMOLI A CASA UNA VOLTA PER TUTTE! BASTA CON QUESTO BUONISMO DEL CAVOLO MENTRE LORO CI TAGLIANO LE TESTE. MA COME CAVOLO è CHE IN AMERICA PRIMA DI ENTRARE SE PUR PER UNA VACANZA TI FANNO IMBECILLIRE PER UN VISTO TURISTICO MENTRE IN QUESTA NAZIONE DELLE BANANE PUOI ENTRARE COME VUOI E CON LA SOPRAGIUNTA TI COSTRUISCONO PURE UN APPARTAMENTO. E UNA COSA INAUDITA! CARO SINDACO DI SAN NICANDRO, LEI SI è MAI CHIESTO QUANTE SONO LE PERSONE SANNICANDRESI CHE NON HANNO DA MANGIARE? LEI HA MAI GIRATO NELLE FAMIGLIE PER SAPERE I LORO PROBLEMI? MA SA COSA SIGNIFICA FARE IL SINDACO? O LEI LO FA SOLO E SOLTANTO PER L'AMATO STIPENDIO? ALZI IL CULO DA QUELL'AMATA POLTRONA E GIRATE PER IL PAESE ,PER LE CASE ,PER I BAR MA SI ANCHE PER I CESSI E PARLATE CON LA GENTE E VEDRETE QUANTA POVERTà C'E' NEL SUO PAESE. QUELLE CASE ISLAMICHE DATELE ALLE PERSONE CHE HANNO BISOGNO VERAMENTE ,PERSONE ITALIANE AVETE CAPITO ITALIANE! BASTA CARO SINDACO SI SVEGLI PRENDA PROVVEDIMENTI E FACCIA IL SINDACO MISSIONARIO PER CAPIRE MEGLIO LE COSE ! LA SALUTO MA CU INCONTREREMO PERCHE IO HO BISOGNO DI UN APPARTAMENTO....... DEVO CAMBIARE NAZIONALITà PER CASO?
IL BLOG DEI CENACOLI ATTIVO PER DARE PACE E AMORE. VISITA IL SITO www.cenacolidimaria.it
giovedì 22 novembre 2007
LITURGIA DOMENICALE
Solennità di Cristo Re
Dio guarda alla nostra vita come ‘un cammino verso
di Lui’.
Tutti conosciamo le difficoltà che si incontrano in
questo cammino e, per di più, in un mondo che
sempre ripete la storia di Adamo ed Eva, tentato dal
più astuto degli esseri.
Facile non capire perché viviamo, e allora si dà alla
vita un non-senso, come un pittore che, non avendo
bene appreso l’arte del dipingere, si diverte a
scarabocchiare o imbrattare una tela, alla fine
rendendola roba da buttare.
Facile affermare quanto una giovane un giorno mi
disse, con la disperazione negli occhi, specchio del
buio della sua anima: “Io non ho chiesto di nascere e
voi preti lo chiamate dono. Un dono che non capisco e
rifiuto, perché mi fa solo impazzire, al punto che lo
vorrei buttare, ma non ne ho il coraggio. È un peso
troppo grande e non ho la forza di portarlo. Ma perché
la vita deve essere un peso e non una gioia?”.
Ma è proprio così?
Sappiamo tutti, o dovremmo saperlo, che la vita non è
un peso. È una difficile lotta, sì, ma meravigliosa per
arrivare alla pienezza della felicità, come è nella
volontà di Chi ci ha fatto questo dono: il Padre.
Dio sa molto bene come, da soli, vivere sia
camminare in un pericoloso buio, quando invece si ha
bisogno di una intensa luce.
Doveva essere questo il nostro destino, un
meraviglioso stare nella Luce e nella Pace, se non ci
fosse stato, da parte dell’uomo, con il peccato
originale, il rifiuto di Dio. Un rifiuto che oggi spesso
continua...creando i danni che tutti conosciamo.
Ma la bontà del Padre non poteva, né può, lasciarci
nella insostenibile solitudine.
E ci ha donato Suo Figlio, Gesù, che venne tra noi,
come uno di noi, e da allora si è fatto così vicino a noi,
da essere ‘l’immensa Luce’ di cui abbiamo bisogno.
Per entrare nella Sua Luce la Chiesa ci propone
l’anno liturgico, ossia interpreta il tempo, ritmandolo
sulla vita di Gesù, tra di noi.
Inizia con l’attesa di Dio, chiamato tempo di Avvento;
quindi la nascita del Figlio, cioè il Natale; il tempo
della crescita, nel silenzio di Nazareth, sotto la guida
di Maria e Giuseppe; la Sua missione tra di noi per tre
anni; il compimento del Suo amore nella
crocifissione, resurrezione e ascensione, per far
posto allo Spirito Santo nella Pentecoste.
La Chiesa chiude l’anno con una solennità, il trionfo di
Dio, che è la regalità di Gesù Cristo, Re dell’universo.
E che Gesù sia realmente e sempre ‘il Sovrano di
tutto e di tutti’, lo descrive bene S. Paolo nella Lettera
ai Colossesi: “Fratelli, ringraziamo con gioia il Padre
che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei
santi nella luce. È Lui infatti che ci ha liberati dal
potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Suo
Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la
redenzione, la remissione dei peccati. Egli è
immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni
creatura, poiché per mezzo di Lui sono state create
tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle
visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati
e Potestà. Egli è prima di tutte le cose e tutte
sussistono in Lui. Egli è anche il Capo del corpo, cioè
della Chiesa, il Principio, il Primogenito di coloro che
resuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte
le cose” (Col 1, 12-19).
E’ davvero incredibile come Dio, il Padre, ci abbia
amato e ci ami tanto, al punto da considerarci tutti,
senza eccezioni, ‘suoi tesori’, come tante volte ci
chiamavano le nostre mamme.
Difficile anche solo immaginare quanto ci voglia bene
e quanto davvero ci sia vicino, ci sostenga e ci
desideri un giorno partecipi del Suo ineffabile Regno.
I Santi, da quelli più grandi a quelli feriali, non solo
capirono questo ‘stare nel Cuore di Dio’, ma ne
facevano il senso meraviglioso dell’esistenza, fino a
dire come S. Paolo: ‘per me vivere è Cristo’. Purtroppo
noi, spesso, siamo come ‘malati di miopia spirituale’,
quella generata dalla superbia o dal vuoto di fede: una
miopia che fa della vita un vivere senza paternità,
come orfani che non sanno chi li ha generati e a chi
interessi la loro vita.
Ci riempiamo gli occhi di illusorio stupore, verso
realtà che ‘brillano’ di luce falsa: la ricchezza, la
bellezza esteriore, il piacere, la posizione sociale, il
potere, che nulla hanno a che fare con l’amore e la
gioia.
L’amore nasce nell’umiltà, che è la via per
manifestarsi, per fare posto a chi si ama, e si dona
con fedeltà.
Possiamo dunque capire perché l’evangelista Luca
esalta ‘la regalità di Cristo’, in un momento
drammatico, in cui Gesù appare nella peggiore
condizione, in cui un uomo possa essere ridotto... ma
che diventa trionfo ineguagliabile, quando
questo ‘nulla’ è stato accettato come supremo atto di
amore.
“In quel tempo, il popolo stava a vedere, i capi invece
schernivano Gesù, dicendo: Ha salvato gli altri, salvi
se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto. Anche i
soldati lo schernivano e gli si accostavano per
porgergli dell’aceto e dicevano: Se tu sei il re dei
Giudei, salva te stesso. C’era anche una scritta, sopra
il suo capo: Questi è il re dei Giudei” (Lc 23, 35-40).
Trovavano assurdo che uno, che affermava di essere
re, ‘ma non di questo mondo’, finisse nel modo più
disonorante sulla croce senza alcuna resistenza.
Dov’era la sua forza? La sua potenza?, forse, si
chiedevano. Davvero la regalità di Gesù ha nulla da
condividere con il concetto di regalità, che abbiamo
noi uomini. Noi siamo abituati a chiamare ‘grandi’
quanti nella politica, nell’economia, nella vita sociale,
sanno imporsi con ‘visibilità’, che spesso sa di voglia
di affermarsi, di stupire.
Basta assistere alle folle che ‘corrono per vedere,
sentire’ qualche divo o personaggio...
Ma spesso questa ‘potenza’ umana è tutto fuorché
amore.
Un potente è difficile anche solo da accostare!
Mentre a portata di mano, pronta ad ascoltarci, a
mettersi nei nostri panni, a rivestirsi delle nostre
tristezze, a ridarci speranza, è la persona ‘umile’, che
per la sua bontà invita ad aprire il cuore.
Un grande cristiano disse: “La superbia e il potere,
tante volte, usano i poveri per farsi strada. Solo
l’amore, facendosi povero, fa strada ai poveri”. Ed è
quello che ha fatto Gesù, ‘il Re dei re’: l’umiltà che si
annulla in croce, per darci ‘Tutto’. Viene allora da
chiedersi: ‘Come mai Gesù non è il Re della nostra
vita?’ Sulla croce Lui stesso ha dato la risposta: Non
sanno quello che fanno’.
Eppure la sete dell’uomo, oggi, lo pone in ricerca di
qualcuno che davvero lo comprenda e lo ami, pronto
ad accoglierlo, sempre, senza limiti.
Quell’inconfessato scontento di tanti, che cercano chi
possa capirli o chi seguire, come unico amore, la dice
lunga sul bisogno di incontrare Cristo, nostro Re.
Così il grande Paolo VI, quando era vescovo a Milano,
nel 1955, scriveva: “Oggi l’ansia di Cristo pervade il
mondo dei lontani, quando in essi vibra qualche
autentico movimento spirituale. L’ansia di trovare
Cristo si insinua in un mondo, avvinto dalla tecnica del
materialismo e della politica, ma che non vuole
soffocare; e quando a tratti profondamente respira,
ascolta noi, e noi, che stiamo pregando, quasi ci
segue.
O Cristo, nostro unico Mediatore, tu ci sei necessario
per venire in comunione con Dio Padre; per diventare
con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli
adottivi, per essere rigenerati nello Spirito Santo.
Tu ci sei necessario, o solo e vero Maestro delle verità
recondite e indispensabili della vita, per conoscere il
nostro essere e il nostro destino, la via per
conseguirlo.
Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire
la nostra miseria e per guarirla; per avere il concetto
del bene e del male e la speranza della santità; per
deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.
Tu ci sei necessario, o Fratello primogenito del
genere umano, per ritrovare le ragioni vere della
fraternità fra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i
tesori della carità, il bene sommo della pace.
Tu ci sei necessario, o grande Paziente dei nostri
dolori, per conoscere il senso della sofferenza e per
dare ad essa un valore di espiazione e di redenzione.
Tu ci sei necessario, o Vincitore della morte, per
liberarci dalla disperazione e dalla negazione e per
avere certezze che non tradiscono in eterno.
Tu ci sei necessario, o Cristo, Re, Signore, o Dio con
noi, per imparare l’amore vero, e per camminare nella
gioia e nella forza della carità, lungo il cammino della
nostra via faticosa, fino all’incontro finale con Te
amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli”.
Viene allora da dire un grande Grazie a Gesù, nostro
solo Re, Colui che ha tanta cura della nostra vita,
quella vera, e vuole amore, per donare gioia.
Grazie, Gesù, mio Re.
E con la Chiesa cantiamo:
“Gesù, dolce Memoria che dai la vera gioia del cuore
ma più del miele e di ogni cosa dolce è la tua
Presenza. Niente si canta di più soave, nulla si ode di
più lieto, nulla si pensa di più dolce che Gesù, Figlio
di Dio. Gesù, Speranza per chi si converte, quale
misericordia per chi ti invoca!
Quale bontà per chi ti cerca, che sarai per chi ti trova?
Non vi è lingua capace di narrare, né parola in grado
di esprimere. Chi ne fa esperienza può credere cosa
sia amare Gesù.
Gesù, sii la nostra Guida, tu che sei il Premio che ci
attende.
Sia in Te la nostra gloria. Sempre!”.
Dio guarda alla nostra vita come ‘un cammino verso
di Lui’.
Tutti conosciamo le difficoltà che si incontrano in
questo cammino e, per di più, in un mondo che
sempre ripete la storia di Adamo ed Eva, tentato dal
più astuto degli esseri.
Facile non capire perché viviamo, e allora si dà alla
vita un non-senso, come un pittore che, non avendo
bene appreso l’arte del dipingere, si diverte a
scarabocchiare o imbrattare una tela, alla fine
rendendola roba da buttare.
Facile affermare quanto una giovane un giorno mi
disse, con la disperazione negli occhi, specchio del
buio della sua anima: “Io non ho chiesto di nascere e
voi preti lo chiamate dono. Un dono che non capisco e
rifiuto, perché mi fa solo impazzire, al punto che lo
vorrei buttare, ma non ne ho il coraggio. È un peso
troppo grande e non ho la forza di portarlo. Ma perché
la vita deve essere un peso e non una gioia?”.
Ma è proprio così?
Sappiamo tutti, o dovremmo saperlo, che la vita non è
un peso. È una difficile lotta, sì, ma meravigliosa per
arrivare alla pienezza della felicità, come è nella
volontà di Chi ci ha fatto questo dono: il Padre.
Dio sa molto bene come, da soli, vivere sia
camminare in un pericoloso buio, quando invece si ha
bisogno di una intensa luce.
Doveva essere questo il nostro destino, un
meraviglioso stare nella Luce e nella Pace, se non ci
fosse stato, da parte dell’uomo, con il peccato
originale, il rifiuto di Dio. Un rifiuto che oggi spesso
continua...creando i danni che tutti conosciamo.
Ma la bontà del Padre non poteva, né può, lasciarci
nella insostenibile solitudine.
E ci ha donato Suo Figlio, Gesù, che venne tra noi,
come uno di noi, e da allora si è fatto così vicino a noi,
da essere ‘l’immensa Luce’ di cui abbiamo bisogno.
Per entrare nella Sua Luce la Chiesa ci propone
l’anno liturgico, ossia interpreta il tempo, ritmandolo
sulla vita di Gesù, tra di noi.
Inizia con l’attesa di Dio, chiamato tempo di Avvento;
quindi la nascita del Figlio, cioè il Natale; il tempo
della crescita, nel silenzio di Nazareth, sotto la guida
di Maria e Giuseppe; la Sua missione tra di noi per tre
anni; il compimento del Suo amore nella
crocifissione, resurrezione e ascensione, per far
posto allo Spirito Santo nella Pentecoste.
La Chiesa chiude l’anno con una solennità, il trionfo di
Dio, che è la regalità di Gesù Cristo, Re dell’universo.
E che Gesù sia realmente e sempre ‘il Sovrano di
tutto e di tutti’, lo descrive bene S. Paolo nella Lettera
ai Colossesi: “Fratelli, ringraziamo con gioia il Padre
che ci ha messi in grado di partecipare alla sorte dei
santi nella luce. È Lui infatti che ci ha liberati dal
potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Suo
Figlio diletto, per opera del quale abbiamo la
redenzione, la remissione dei peccati. Egli è
immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni
creatura, poiché per mezzo di Lui sono state create
tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle
visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati
e Potestà. Egli è prima di tutte le cose e tutte
sussistono in Lui. Egli è anche il Capo del corpo, cioè
della Chiesa, il Principio, il Primogenito di coloro che
resuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte
le cose” (Col 1, 12-19).
E’ davvero incredibile come Dio, il Padre, ci abbia
amato e ci ami tanto, al punto da considerarci tutti,
senza eccezioni, ‘suoi tesori’, come tante volte ci
chiamavano le nostre mamme.
Difficile anche solo immaginare quanto ci voglia bene
e quanto davvero ci sia vicino, ci sostenga e ci
desideri un giorno partecipi del Suo ineffabile Regno.
I Santi, da quelli più grandi a quelli feriali, non solo
capirono questo ‘stare nel Cuore di Dio’, ma ne
facevano il senso meraviglioso dell’esistenza, fino a
dire come S. Paolo: ‘per me vivere è Cristo’. Purtroppo
noi, spesso, siamo come ‘malati di miopia spirituale’,
quella generata dalla superbia o dal vuoto di fede: una
miopia che fa della vita un vivere senza paternità,
come orfani che non sanno chi li ha generati e a chi
interessi la loro vita.
Ci riempiamo gli occhi di illusorio stupore, verso
realtà che ‘brillano’ di luce falsa: la ricchezza, la
bellezza esteriore, il piacere, la posizione sociale, il
potere, che nulla hanno a che fare con l’amore e la
gioia.
L’amore nasce nell’umiltà, che è la via per
manifestarsi, per fare posto a chi si ama, e si dona
con fedeltà.
Possiamo dunque capire perché l’evangelista Luca
esalta ‘la regalità di Cristo’, in un momento
drammatico, in cui Gesù appare nella peggiore
condizione, in cui un uomo possa essere ridotto... ma
che diventa trionfo ineguagliabile, quando
questo ‘nulla’ è stato accettato come supremo atto di
amore.
“In quel tempo, il popolo stava a vedere, i capi invece
schernivano Gesù, dicendo: Ha salvato gli altri, salvi
se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto. Anche i
soldati lo schernivano e gli si accostavano per
porgergli dell’aceto e dicevano: Se tu sei il re dei
Giudei, salva te stesso. C’era anche una scritta, sopra
il suo capo: Questi è il re dei Giudei” (Lc 23, 35-40).
Trovavano assurdo che uno, che affermava di essere
re, ‘ma non di questo mondo’, finisse nel modo più
disonorante sulla croce senza alcuna resistenza.
Dov’era la sua forza? La sua potenza?, forse, si
chiedevano. Davvero la regalità di Gesù ha nulla da
condividere con il concetto di regalità, che abbiamo
noi uomini. Noi siamo abituati a chiamare ‘grandi’
quanti nella politica, nell’economia, nella vita sociale,
sanno imporsi con ‘visibilità’, che spesso sa di voglia
di affermarsi, di stupire.
Basta assistere alle folle che ‘corrono per vedere,
sentire’ qualche divo o personaggio...
Ma spesso questa ‘potenza’ umana è tutto fuorché
amore.
Un potente è difficile anche solo da accostare!
Mentre a portata di mano, pronta ad ascoltarci, a
mettersi nei nostri panni, a rivestirsi delle nostre
tristezze, a ridarci speranza, è la persona ‘umile’, che
per la sua bontà invita ad aprire il cuore.
Un grande cristiano disse: “La superbia e il potere,
tante volte, usano i poveri per farsi strada. Solo
l’amore, facendosi povero, fa strada ai poveri”. Ed è
quello che ha fatto Gesù, ‘il Re dei re’: l’umiltà che si
annulla in croce, per darci ‘Tutto’. Viene allora da
chiedersi: ‘Come mai Gesù non è il Re della nostra
vita?’ Sulla croce Lui stesso ha dato la risposta: Non
sanno quello che fanno’.
Eppure la sete dell’uomo, oggi, lo pone in ricerca di
qualcuno che davvero lo comprenda e lo ami, pronto
ad accoglierlo, sempre, senza limiti.
Quell’inconfessato scontento di tanti, che cercano chi
possa capirli o chi seguire, come unico amore, la dice
lunga sul bisogno di incontrare Cristo, nostro Re.
Così il grande Paolo VI, quando era vescovo a Milano,
nel 1955, scriveva: “Oggi l’ansia di Cristo pervade il
mondo dei lontani, quando in essi vibra qualche
autentico movimento spirituale. L’ansia di trovare
Cristo si insinua in un mondo, avvinto dalla tecnica del
materialismo e della politica, ma che non vuole
soffocare; e quando a tratti profondamente respira,
ascolta noi, e noi, che stiamo pregando, quasi ci
segue.
O Cristo, nostro unico Mediatore, tu ci sei necessario
per venire in comunione con Dio Padre; per diventare
con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli
adottivi, per essere rigenerati nello Spirito Santo.
Tu ci sei necessario, o solo e vero Maestro delle verità
recondite e indispensabili della vita, per conoscere il
nostro essere e il nostro destino, la via per
conseguirlo.
Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire
la nostra miseria e per guarirla; per avere il concetto
del bene e del male e la speranza della santità; per
deplorare i nostri peccati e per averne il perdono.
Tu ci sei necessario, o Fratello primogenito del
genere umano, per ritrovare le ragioni vere della
fraternità fra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i
tesori della carità, il bene sommo della pace.
Tu ci sei necessario, o grande Paziente dei nostri
dolori, per conoscere il senso della sofferenza e per
dare ad essa un valore di espiazione e di redenzione.
Tu ci sei necessario, o Vincitore della morte, per
liberarci dalla disperazione e dalla negazione e per
avere certezze che non tradiscono in eterno.
Tu ci sei necessario, o Cristo, Re, Signore, o Dio con
noi, per imparare l’amore vero, e per camminare nella
gioia e nella forza della carità, lungo il cammino della
nostra via faticosa, fino all’incontro finale con Te
amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli”.
Viene allora da dire un grande Grazie a Gesù, nostro
solo Re, Colui che ha tanta cura della nostra vita,
quella vera, e vuole amore, per donare gioia.
Grazie, Gesù, mio Re.
E con la Chiesa cantiamo:
“Gesù, dolce Memoria che dai la vera gioia del cuore
ma più del miele e di ogni cosa dolce è la tua
Presenza. Niente si canta di più soave, nulla si ode di
più lieto, nulla si pensa di più dolce che Gesù, Figlio
di Dio. Gesù, Speranza per chi si converte, quale
misericordia per chi ti invoca!
Quale bontà per chi ti cerca, che sarai per chi ti trova?
Non vi è lingua capace di narrare, né parola in grado
di esprimere. Chi ne fa esperienza può credere cosa
sia amare Gesù.
Gesù, sii la nostra Guida, tu che sei il Premio che ci
attende.
Sia in Te la nostra gloria. Sempre!”.
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