lunedì 3 dicembre 2007

liberiamo l'italia intera da PRODI

LA RISPOSTA DEL SINDACO DI VENARIA DOPO LA MIA EMAIL

Il Consiglio Comunale di Venaria Reale,eletto democraticamente, nel 1998, prima e nel 2007,poi, ha deliberato la concessione della cittadinanza onoraria a Silvia Baraldini, a simbolo delle persone con le quali la giustizia non è stata giusta. Questo è un tema di civiltà che distingue l’età moderna dal medioevo e dalle altre età in cui il tema di una giustizia giusta non veniva posto. Perché la giustizia esercitata dal Re o dal tiranno non aveva bisogno di essere giusta.



E’ legittimo dissentire da questa impostazione. Non è legittimo insultare o aggredire. Dalla mia città non si sono levate proteste, perché la cittadinanza era consapevole del significato di tale gesto. Solo la strumentalizzazione politica di vari giornali del Centro destra ha dato una intepretazione al gesto assolutamente faziosa e distorcente. La mia intervista a Mediaset, che spiegava le regioni della decisione del C.C., è stata debitamente tagliata dal censore interessato Emilo Fede, aiutato dai picchiatori Borghezio e Ghiglia che non sono cittadini venariesi.



Per aiutarla a capire il clima nel quale maturò quella scelta, allego un articolo di Gianni Mura del 1999 ed una sua breve biografia in nota.

Si possono avere opinioni diverse e dissentire anche fortemente dagli altri. Ma questo non deve mai trascendere in odio ed aggressione. La democrazia ci impone quest’onere, per garantirci il diritto di dissentire.



Cordiali Saluti



Nicola Pollari

Sindaco di Venaria Reale



Il ritorno della Baraldini
Storia di una buona causa


di GIANNI MURA *





--------------------------------------------------------------------------------

Adesso che Silvia Baraldini torna, è tornata, chi non ha seguito da vicino il suo caso rischia di smarrirsi in mezzo alle tante Baraldini raccontate in cronaca. Dal santino laico alla pericolosa terrorista, passando per gradazioni più sfumate. In cui includo le polemiche sul costo del Falcon 900 mandato in America dal nostro governo. Polemiche oziose, perché gli americani hanno richiesto massima discrezione nel trasferimento. Immaginatevi la Baraldini su un volo di linea con decine di giornali e tv a prenotare i posti. O, ancora, Baraldini come merce di scambio per il Cermis, dramma che certamente ha cambiato il clima e convinto gli americani ad ammorbidirsi un po'.

Ma non scordiamoci che è dal 1988 che in Italia, Parlamento compreso, si discute della Baraldini. Di socialisti e radicali le prime interrogazioni. Sempre nel 1988 nasce a Ferrara il primo Comitato di solidarietà per Silvia. Altri ne nasceranno, a Firenze, a Roma, a Milano, non tutti in sintonia fra loro ma tutti decisi a lottare contro il silenzio e l'isolamento di una donna forte. Il 1988 è anche l'anno delle due operazioni (lei in catene, come da regolamento, anche sul tavolo operatorio) per cancro all'utero.

E nell'89 parte dall'Italia la prima richiesta di estradizione in base alla convenzione di Strasburgo. Respinta, come succederà altre volte, fino al gennaio di quest' anno, quando al ministro Diliberto, a Berlino, arriva un fax in cui il governo americano manifesta la disponibilità a trattare. Può darsi, anzi è certo, che Diliberto sia parso interlocutore credibile alla controparte. Lui e chi per lui (Gianni De Gennaro). E che il nuovo avvocato italiano, Grazia Volo, si sia mossa con sicurezza e decisione.

Ma senza quella che si può chiamare mobilitazione popolare, oggi Silvia Baraldini sarebbe ancora il numero 05125-054 del penitenziario di Danbury. Senza i concerti di Guccini e le corse a piedi organizzate dall'Uisp, senza i consigli di fabbrica e le cittadinanze onorarie in tanti centri italiani, senza gli appelli firmati da Eco e Rushdie, Tabucchi e Maraini, Raboni e Valduga, Fo e Levi Montalcini, Bobbio e don Ciotti, ma anche da Ulivieri, allora allenatore del Bologna, da Mentana e Costanzo, da Emergency e da tante persone, non famose, gente comune e non necessariamente comunista (anche deputati del Polo, per dire). E non necessariamente antiamericana, ma forse spinta dall'evidenza dei fatti a pensare che quella americana non è la miglior giustizia possibile.

Oggi è un bel giorno, per la Baraldini e per tutti quelli che non hanno mai smesso di credere che sarebbe tornata in Italia. A Rebibbia, non a casa sua, fino al 29 luglio 2008. L'unica strada praticabile era di accettare condizioni teoricamente inaccettabili (rinuncia ai benefici della legge Gozzini e via dicendo), ma esiste un versante umano, non solo un versante giuridico, che mi pare interessante. Mi chiedo: perchè proprio la Baraldini e la sua storia hanno richiamato l'attenzione, lo sdegno, il sentimento di tanti italiani? Perché, per usare una brutta espressione, molti altri casi carcerari più pieni di sangue sono stati dimenticati e il suo non è passato di moda? Perché questa attenzione occupa dieci anni, da Palermo a Sale Marasino (Bs)?

Proprio perché oggi è un bel giorno, provo a rispondere. Per me e per gli altri. Fino al luglio del '94, quello che sapevo dalla Baraldini lo sapevo dai giornali. Mondiali di calcio negli Usa, Danbury a poco meno di due ore d'auto da New York, trafila per la visita, due ore in parlatorio. Mai visti prima né dopo, dopo solo qualche telefonata e qualche lettera. Ma in quelle due ore, in un penitenziario di massima sicurezza del Connecticut, ho respirato un sacco di libertà. Detto così fa un po' ridere, ma la sensazione precisa era questa. La libertà non era intorno a Silvia, era dentro. Non s'era persa con la condanna né con la malattia, non s'era persa nella disumana detenzione di Lexington (la tomba bianca era chiamato questo carcere, chiuso dopo l'intervento di Amnesty International) né in quella durissima, ma senza torture psicofisiche, di Marianna.

A proposito di far ridere, non male le dichiarazioni di Marcello Veneziani su un pezzo (serissimo, quello) di Igor Man. "La Baraldini è coerente sulla pelle degli altri". Anche sulla sua, andiamo: 17 anni di galera in America non sono una crociera. Specie se c'è accanimento. Una donna, bianca, famiglia agiata, buoni studi, che si butta dalla parte dei neri e dei portoricani, di tutte le minoranze. Fu in agosto, nel '61, esattamente il giorno 7, che la famiglia Baraldini si trasferì a New York. Silvia avrebbe compiuto 14 anni a dicembre. E' cresciuta negli anni dei campus studenteschi in fermento, delle grandi mobilitazioni per i diritti civili. Vorrebbe andare in Alabama per marciare con Martin Luther King da Selma a Montgomery, i genitori la dissuadono, troppo pericoloso, meglio restare a casa. "E' l'ultima volta che ho chiesto il permesso di partecipare. Poi ho partecipato". Il padre era dirigente della Olivetti, poi lavorò all'ambasciata italiana. Morì d'infarto nel '77.

Come militante del gruppo 19 maggio, in base alla legge Rico, varata in funziona antimafia, la Baraldini è stata condannata a 43 anni. La legge Rico prevede che i crimini commessi dall'appartenente a un gruppo possano essere automaticamente addossati a tutti gli altri, anche se nel caso della Baraldini il tribunale ha riconosciuto la sua non partecipazione a fatti di sangue. Vent'anni per aver partecipato all'evasione (incruenta) di Jo Ann Chesimard, alias Assata Shukur, dal carcere di Clinton (New Jersey). Vent'anni per l'ideazione di una rapina mai avvenuta, su segnalazione di un pentito incapace però di descrivere la Baraldini, che fra l'altro in quel periodo stava in Zimbabwe. Tre anni per disprezzo della corte.

Con un bravo avvocato, e non con l'immancabile militante, la Baraldini se la sarebbe cavata con molto meno. Non ha mai sostenuto di essere innocente né ha cercato di evitare le sue responsabilità. E credo che qui stia la risposta per gli altri, per il cerchio largo degli altri. La coerenza e la dignità di Silvia Baraldini (in quelle condizioni) sono valori forti e percepiti. In tempi di spostamenti rapidi, sempre dettati dalla convenienza personale (da un partito all'altro, da una squadra all'altra), in tempi in cui la nostra vita sembra un frenetico zapping, la Baraldini è rimasta ferma, non s'è né spezzata né piegata, non ha chiesto pietà ma solo giustizia. In stagioni di etica ballerina, la Baraldini non ha barattato la sua libertà né con un pentitismo di comodo né facendo rivelazioni su altri membri di quel gruppuscolo che non c'è più, non essendoci più le condizioni sociali che l'avevano fatto nascere, crescere e anche sbagliare metodi.

Quel luglio di cinque anni fa ero andato a Dambury sapendo che l'Fbi già nel 1987 le aveva offerto un bel mucchietto di dollari e la scarcerazione immediata se avesse fatto altri nomi. E che per il suo rifiuto l'avevano spedita nella tomba bianca di Lexington. E sapevo che sua sorella Marina, la prima a sollevare il caso, era morta nell'89 nel cielo del Ciad, aereo francese fatto saltare da terroristi libici. Non sapevo e non immaginavo di trovarla così ostinatamente serena e decisa a non rifarsi una vita a scapito di vite altrui. Né pensavo che ricevesse tanta posta dall'Italia ("è importante, chi ha qualcuno fuori è trattato qui con più rispetto"), spesso da persone che le ponevano problemi di malattie, di droghe, di rivoluzioni fallite o mai iniziate. Mi venne in mente quella vecchia canzone in milanese resa famosa dalla Vanoni, Ma mi. Sbatùu de su, sbatùu de giò, mi son de quei che parlen no. Allora di diritti civili in Italia si parlava pochissimo. Adesso anche meno. Era una buona causa, e buona resta. Personalmente, anche se non ha importanza, credo che la Baraldini per quello che ha fatto abbia pagato a sufficienza. In ogni caso, aveva diritto a una nuova vita nel suo paese, sia pure a Rebibbia. Non sarà facile, ma sempre meglio qua che là.

(25 agosto 1999)



*[Gianni Mura (Milano 1945). Studi classici, entra alla “Gazzetta dello Sport” nel 1964. Giornalista professionista dall’aprile del ’67. Altre testate: “Corriere d’informazione” (’72/’74), “Epoca” (’74/’79), “L’occhio” (’79/’81). Inviato di “Repubblica” (cui già collaborava dal ’76) dal 1983. Dal 1991 con la moglie Paola ha una rubrica di enogastronomia (Mangia&bevi) sul “Venerdì di Repubblica”. Attività collaterali: giocare a carte, andare a funghi, fare anagrammi.]

BUON LUNEDI A TUTTI

3 dicembre
Kaká ha vinto il Pallone d'oro 2007 · Venezuela: si vota per la riforma costituzionale voluta da Chávez · Benedetto XVI pubblica l'enciclica "Spe salvi" · L'Italia alla presidenza mensile del Consiglio di Sicurezza ONU · Wikimedia Foundation designata Pioneer of Technology per il 2008 dal World Economic Forum
Pierre-Auguste RenoirNati il 3 dicembre ...
Enrico IV di Francia (1553)
Daryl Hannah (1960)
Adam Małysz (1977)

e morti ...
Giovanni Battista Belzoni (1823)
Robert Louis Stevenson (1894)
Pierre-Auguste Renoir (1919)


In questo giorno accadde ...
1906 - Nasce il Torino Football Club.
1944 - Seconda guerra mondiale: Nella Grecia appena liberata scoppia la guerra civile tra comunisti e monarchici.
1967 - Al Groote Schuur Hospital di Città del Capo (Sudafrica), viene effettuato il primo trapianto di cuore dal team guidato da Christiaan Barnard.
1973 - Programma Pioneer: la sonda Pioneer 10 invia sulla Terra le prime immagini ravvicinate di Giove.
1984 - Disastro di Bhopal: Una perdita di metilisocianato da una fabbrica di pesticidi in India uccide più di 3.800 persone e causa danni ad altre persone, stimate tra le 150.000 e le 600.000.

Ricorre oggi: la Chiesa cattolica celebra la memoria di san Francesco Saverio; la Religione romana celebra i misteri di Bona Dea.